Non lavorare più al giornale, significa anche (tra i tanti vantaggi) non dover più fingere compiacimento e fratellanza alla consueta cena di Natale aziendale.
Le due redazioni di Terry e Boom riunite nel solito ristorante, attorno al solito tavolo a ferro di cavallo, il cui lato corto veniva occupato ogni anno dal direttore e dalle capo redettrici rosso vestite e false peggio di Giuda, il che ha sempre fatto assomigliare la cena di Natale all'ultima cena pasquale.
Io, Tiz e Gabry all'estremità opposta tentavamo di divertirci estraniandoci dal resto della combriccola.
Ascoltavamo annoiati il discorso del direttore, condito da brindisi e finta allegria, gli auspici per il nuovo anno e cin cin, soddisfazione per la due testate, e gli auguri a tutti, ma proprio tutti fino alle quinta generazione. Panettone e, finalmente, i saluti.
Abbracci ai colleghi e ci lanciavamo fuori, nella dicembrina aria gelida di Milano tirata a lucido, con luci un po' ovunque, anche a casaccio. E non ci si pensava più fino all'anno seguente.
Sicuramente esistono aziende dove le cene natalizie sono davvero l'occasione di scambiarsi gli auguri di
cuore, e ritrovarsi in un contesto diverso dalle solite pareti.
Ma io sono felice di aver scampato il pericolo di
ritrovarmi accanto alla Pini che sbraita: "caraaaa, mi siedo qui vicino a te, non farmi andare con la dirigenza!" Mentre aveva già appoggiato la borsa sulla sedia accanto a quella del direttore!
Molto molto molto meglio starsene qui al bar decorato a festa,
come potete vedere nella foto
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